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Forward Motion: Cynthia Erivo

Reduce dal successo di Sundance, dove era protagonista e produttrice di “Drift”, Cynthia Erivo è nel cast  di “Luther”, nuova serie Netflix/BBC. Tra gli obiettivi a breve dellattrice? Conquistare il dottorato. 

Cynthia Erivo in cover indossa un total look LOUIS VUITTON
Cynthia Erivo in cover indossa un total look LOUIS VUITTON

Photography AXLE JOZEPH
Styling Director JASON BOLDEN
Styling GIORGIA CANTARINI

Cynthia Erivo sa cantare però questo è solo l’inizio della sua storia di artista quasi EGOT, come si definisce chi vince tutti e quattro i più importanti premi statunitensi per l’intrattenimento, gli Emmy, i Grammy, gli Oscar e i Tony Awards. Nata a Londra ha visto la sua stella trasformarsi in una supernova dopo aver interpretato il ruolo principale nel celebre musical “Il colore viola” nei teatri del West End. Da lì la produzione è andata in trasferta a Broadway nel 2015 per volere di Oprah Winfrey. L’attrice è nello Utah per il Sundance festival, dove ha presentato il suo nuovo film, “Drift”, che ha prodotto e di cui è protagonista nei panni di una giovane rifugiata liberiana che è a fatica riuscita a scappare dal suo Paese dilaniato dalla guerra per raggiungere la Grecia. La Erivo ha da poco finito di girare il blockbuster “Luther”, una serie originale Netflix prodotta in collaborazione con la BBC, sta attualmente lavorando al film in due parti “Wicked”, e ha da poco fatto uscire un nuovo album di sue canzoni originali e un nuovo libro per bambini, oltre ad essere alla guida della sua casa di produzione Edith’s Daughter.

L’Officiel: Come fai a cantare mentre corri?
Cynthia Erivo: Quello che è davvero strano è che il mio modo di correre è cambiato da quando ho iniziato con “Il colore viola”. Se guardi solo al modo in cui corro e alla sua economia, adesso è diverso. E penso dipenda da come sono stata aiutata nella mia carriera, perché nessun uomo è un’isola. Non puoi farcela da solo. Ho potuto concedermi il privilegio di fare un passo indietro. Ora cosa voglio fare? Come voglio farlo da qui in avanti? Che storia voglio raccontare? Come voglio muovermi attraverso questo successivo spazio? Sono stata in grado davvero di modellare l’aspetto delle cose, il che significa aver potuto fare le cose in modo un po’ diverso. Lo sprint. La corsa. È cambiato il modo in cui mi muovo.

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Abito, LOEWE; orecchini e anelli, BIJULES; cuissardes, CASADEI.


LO: Come scegli i tuoi film e le tue canzoni?
CE: La storia è il nucleo di tutto ciò che faccio, penso sia la cosa che ci unisce. L’unica cosa che ogni essere umano ha in comune è che tutti abbiamo una storia. Quando indosso un abito, non è soltanto un abito, è la storia che sto raccontando attraverso quell’abito. Quando scelgo un copione, è perché mi piacciono la storia e la persona che racconta quella storia, non solo perché è girato da chissà chi in chissà quale studio. È perché mi piace ciò che la storia dice alla gente e come la gente ci si può connettere. Tristezza, gioia, speranza, perdita, sono tutte cose che rendono buono uno storytelling.

LO: Hai detto che il tuo personaggio in “Luther” è “dalla parte delle regole, della legge, per tutto il tempo finché le circostanze la spingono al di là del suo controllo. 
CE: È una donna come qualunque altro essere umano, è una contraddizione. Crede con tutto il cuore che le cose debbano essere fatte secondo le regole, la legge. Le norme dovrebbero essere seguite finché non ti si ritorcono contro. È un dilemma, perché per risolvere un problema, deve infrangere la legge. La maggioranza di noi vuole pensare che siamo sostanzialmente leggeri, buoni e che non faremmo mai qualcosa di sbagliato o che possa ferire qualcuno. Però non è vero, perché siamo umani e gli umani fanno errori, feriscono altri umani e sono luce e tenebre, ed è ciò che li rende umani.

LO: C’è un personaggio cui ti sei ispirata per questo tipo di “cattiva complessa”? Una persona che all’inizio ti sembra incolore e che invece è molto più di quanto si percepisca?
CE: Non credo ci sia un singolo personaggio, piuttosto c’è un film a cui ritorno sempre. Suonerà trito, parlo di “Il diavolo veste Prada” e Miranda Priestly, che è l’epitome del chiaro e scuro. Non sai se è davvero buona o cattiva, fluttua tra i due estremi. Ci sono momenti di autentica vulnerabilità, tristezza, dolore e altri in cui è orrenda. E ancora, momenti di dolcezza e leggerezza, e momenti in cui lascia trasparire sprazzi di gentilezza, ma un secondo dopo quella gentilezza viene spazzata via.

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Abito con profonda scollatura, VERSACE; anelli, BIJULES.


LO: Il tuo prossimo ruolo nei panni di Elphaba in “Wicked” incarna tutto questo perfettamente. So che hai visto per la prima volta il musical nel giorno del tuo venticinquesimo compleanno. Come si sei sentita quando sei uscita dallo spettacolo?
CE: È stato così strano. Non ricordo di essere uscita dal teatro o di essere salita sull’autobus, però mi ricordo quando ne sono scesa: mi sono sentita così viva, perché non avevo mai pensato a una storia in quel modo. È stata forse la prima volta in cui vedevo la storia di una cattiva ri-raccontata in modo da spiegarti il perché era in quel modo. E mi piaceva l’idea che quella donna avesse in sé più luce di quanta gli altri le concedessero.

LO: Ti senti personalmente connessa con quel tipo di narrativa? Quella per cui le persone si aspettano qualcosa da te e tu devi lottare per dimostrare che vali molto di più?
CE: Sì, cerco di continuo di fare capire alla gente che ho degli aspetti variabili ed è una cosa che la moda mi aiuta a fare, perché le persone realizzano che io sono una miriade di cose differenti. Posso essere la ragazza alternativa, piena di piercing, oppure quella sexy con le unghie laccate. Ma posso anche sentirmi una piccola specie di dea e indossare un abito bianco con un cappuccio. Sono tutte parti del personaggio che sono io. Sono solo sfaccettature del mio essere. Impiego molto tempo a cercare di essere sicura che le persone non minimizzino la mia intera esperienza incasellandomi, perché voglio che le mie braccia siano in grado di distendersi. Voglio essere capace di occupare uno spazio. E lo spazio è tutto.

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Abito di pelle stampata e stivali, LOUIS VUITTON.

«La storia è il nucleo di tutto ciò che faccio, penso sia la cosa che ci unisce. L’unica cosa che ogni essere umano ha in comune è che tutti abbiamo una storia».

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Abito con maxi cerniera e boots, LOUIS VUITTON.



LO: Ti motiva questa tua abilità di mostrare che sei più espansa di quanto ti reputi la gente?CE: All’inizio era una sorta di forza trainante, quel “Te l’avevo detto”. Adesso? Non così tanto, perché ho realizzato che era l’energia sbagliata. “Te l’avevo detto” e “Guarda cosa ho fatto” finiscono per farti diventare qualcun altro rispetto a te stessa. È una dinamica riduttiva e mi sono resa conto che, in realtà, non mi serviva. Ora la mia passione è parlare con attori e attrici più giovani circa lo spazio che possono occupare e le scelte da fare e quanto margine d’azione hanno.

LO: Il che mi fa pensare ai Tony [nel giugno del 2022], quando Joaquina Kalukango ha vinto e si è esibita: in quel mentre la stavi davvero sostenendo. E ricordo quando Michaela Cole ha vinto un premio [nel 2021]. Eri così vibrante e non c’era nemmeno un briciolo di gelosia.
CE: È perché mi rende davvero felice. Mi rende felice vedere premiata gente che conosco e che lavora duramente. Joaquina era con me sul palcoscenico nel ruolo di mia sorella in “Il colore viola” e lo faceva mentre era incinta di otto mesi. E mentre lavoravo con lei ricordo che pensavo: questa donna è geniale, è formidabile. E quando è stata la volta di Michaela, che conosco da quando avevo 18 anni e che è stata la prima persona a darmi un ruolo in Tv, ero davvero felice. Ha visto oltre rispetto a dove mi trovavo in quel momento, ha visto verso dove stavo andando. Sono convinta che celebrare il lavoro altrui, celebrarne le vittorie, la gioia, tutti quei momenti incredibili che accadono alle persone che ami può solo rimbalzare e ritornarti indietro.

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Abito con profili ricamati, GIORGIO ARMANI; collier, AREA; cintura, VIVIENNE WESTWOOD; cuissardes, CASADEI.

«Voglio che le mie braccia siano in grado di distendersi. Voglio essere capace di occupare uno spazio, lo spazio è tutto... Mi piace il mio lavoro e lo amo, perciò probabilmente continuerò a farlo finché non sarò molto vecchia. Una cosa però la voglio ottenere, il mio dottorato».

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Nella prima foto: Top con ricamo floreale, MAX MARA; pantaloni cargo, ROMEO HUNTE X TOMMY HILFIGER; collana, ALYX; anelli, BIJULES; anfibi, R13. Nella seconda foto: Collana, AREA.


LO: Hai davvero fiducia nel fatto che le persone sono buone e possono diventarlo ancora di più?
CE: Oh sì, lo penso davvero. E penso che se una persona non ha quell’inclinazione è perché quello è tutto ciò che può dare e non la si definisce per quello. Non puoi giudicare le persone, tutti si confrontano con i propri problemi e fanno come possono.

LO: Voglio rileggerti una frase che hai postato su Instagram: «Ho camminato, corso, ho rallentato, sono caduta, mi sono rialzata e ho corso di nuovo. Sono più me stessa di quanto non lo sia mai stata in tutta la mia vita e sono grata”. 
CE: È proprio bello, è uno strano senso di appagamento, non di compiacimento perché la gente tende a confonderli. Sono contenta dei percorsi che sto per affrontare e sono davvero contenta delle persone che ho intorno. Sono contenta del cibo che scelgo di mangiare; sono contenta di quanto può essere duro l’allenamento in palestra; sono contenta di dovermi svegliare presto la mattina per andare a fare un lavoro di cui sono davvero entusiasta. E questo non vuol dire che non ci siano delle sfide, solo che sono aperta ad affrontarle perché dipendono da dove sono e da come mi sento. Non mi spaventano, capisci cosa intendo? Credo che una volta arrivata alla fine di “Drift”, avrò imparato molto su di me. È un grande, grande viaggio, verso un tipo di frontiera molto diversa. Spero che sia stata solo la mia prima volta da produttrice che deve trovare i fondi e andare sul set e via dicendo. Spero che quest’anno apra ulteriormente la porta anche a quella parte di me. Non so se c’è una linea del traguardo, perché non necessariamente faccio ciò che faccio perché sto cercando di centrare un obiettivo. Mi piace il mio lavoro e lo amo, perciò probabilmente continuerò a farlo finché non sarò molto vecchia. Una cosa però la voglio ottenere, il mio dottorato. Ne ho parlato con il meraviglioso professore  Henry Louis Gates, Jr., direttore dell’Hutchings Center for African and African American Research all’Università di Harvard, e lui ritiene che sia una possibilità, perciò dobbiamo solo lavorarci sopra. Mi piace quando le persone ricevono dei dottorati onorari, penso sia fantastico, ma io sono una stacanovista e ne vorrei uno vero.

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Abito e orecchini, SCHIAPARELLI.

HAIR Ephraim
MAKEUP Giselle Ali
PHOTO ASSISTANT Éric Sakai
STYLIST ASSISTANT Eleonora Maltese 

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