Full immersion nell'universo di David Bowie nel centro inaugurato a settembre all'East Storehouse del Vitoria and Albert Museum, tra outfit entrati nella leggenda, foto, strumenti, suoi quadri e il behind the scenes dei suoi tour.

A dodici anni di distanza dalla leggendaria mostra immersiva &ldquo;David Bowie is&rdquo;, il Victoria and Albert di Londra ha inaugurato il 13 settembre al V&amp;A East Storehouse il David Bowie Centre, sede permanente degli oltre novantamila oggetti dell&rsquo;archivio della star, visibili sia a rotazione in successive esibizioni sia one to one su prenotazione tramite il servizio &ldquo;Order an Object&rdquo;, per cui sar&agrave; possibile visionare privatamente, seguiti dagli addetti del centro, fino a cinque items scelti sul catalogo digitale. Un&rsquo;esperienza innovativa come lo era stata quella degli oltre due milioni di visitatori di &ldquo;David Bowie is&rdquo;, riproposta dopo Londra nell&rsquo;arco di cinque anni in altri undici musei di tutto il mondo. Non solo per gli oltre cinquecento oggetti esposti, tra cui sessanta costumi di scena firmati da McQueen, Slimane, Miyake, Vivienne Westwood e Kansai Yamamoto, ma per il sistema audio messo a punto dalla Sennheiser, per cui le hit di Bowie, fruibili attraverso. Gli headphones di cui era dotato ogni spettatore cambiavano all&rsquo;avvicinarsi fisico ai diversi oggetti, contestualizzandoli cos&igrave; nel flusso creativo del Duca Bianco. &laquo;Il domani appartiene a quelli che lo sentono arrivare&raquo;, diceva Bowie. E lui ha vissuto con un istinto infallibile per il futuro, vendendo in vita oltre 140 milioni di album, influenzando artisti diversissimi tra loro, da Morrissey a Kate Bush, dagli Spandau Ballet agli Eurythmics, dagli Oasis ai Blur, e imponendosi come un catalizzatore pan-sexual della caduta degli stereotipi di genere, dal cross-dressing al make up. Dalla fine degli anni &rsquo;60 alla sua esibizione a Live Aid, nell&rsquo;85, la Bowie mania &egrave; un&rsquo;ossessione che da elitaria diventa collettiva, fondata non solo su una voce straordinaria e un&rsquo;incredibile presenza scenica, ma sulla sua continua capacit&agrave; di reinventarsi e sulla sua fascinazione per luoghi che sarebbero entrati nell&rsquo;immaginario mainstream solo molto dopo: dalla Berlino della trilogia di &ldquo;Low&rdquo;, &ldquo;Heroes&rdquo; e &ldquo;Lodger&rdquo;, realizzata con Brian Eno, il suo Zen master della ambient music, al Giappone che lo affascinava con il kabuki e il teatro No, all&rsquo;Australia degli aborigeni di &ldquo;Let&rsquo;s Dance&rdquo; e all&rsquo;Asia di &ldquo;China Girl&rdquo;.

Per anni Bowie rappresenta la personificazione stessa della coolness, in grado di suscitare un culto reso magnificamente nelle scene del concerto berlinese di &ldquo;Cristiana F. &ndash; I ragazzi dello zoo di Berlino&rdquo; e nell&rsquo;omaggio al Glam Rock di &ldquo;Velvet Goldmine&rdquo; di Todd Haynes, con il personaggio di Jonathan Rhys Meyers direttamente ispirato a lui, pellicola cui il regista gli aveva chiesto di collaborare e che invece Bowie aveva definito agghiacciante. Nato a Brixton (Londra) l&rsquo;8 gennaio 1947, David Robert Jones inizia da ragazzino a suonare il sax perch&eacute; voleva diventare &laquo;come Sal Paradise e Dean Moriarty&raquo; di &ldquo;On the Road&rdquo;. Tra gli incontri che segnano il suo percorso c&rsquo;&egrave; quello con il buddismo tibetano e Lindsay Kemp, il mimo che gli fa conoscere il Teatro dell&rsquo;Assurdo e lo spinge alla sperimentazione e alla contaminazione artistica.
Guarda al cinema di Kubrick, ad &ldquo;Arancia meccanica&rdquo; per i costumi degli Spiders of Mars e a &ldquo;2001: Odissea nello spazio&rdquo; per la sua prima hit, &ldquo;Space Oddity&rdquo;, colonna sonora della trasmissione BBC dell&rsquo;allunaggio dell&rsquo;Apollo 11. Sulla cover dell&rsquo;album &ldquo;The Man Who Sold the World&rdquo; appare con i capelli lunghi e un abito midi a fiori da donna che lui definisce &laquo;il mio look pre-Raffaellita&raquo;; per &ldquo;Ziggy Stardust&rdquo;, l&rsquo;album del &rsquo;72 che lo consacra artista di culto, adotta un mullet arancione. Si ispira a &ldquo;1984&rdquo; di Orwell, agli scritti di William Burroughs e a &ldquo;Metropolis&rdquo; di Fritz Lang per il tour di &ldquo;Diamond Dogs&rdquo;, con le torri di Hunger City che inaugurano i suoi scenografici stages.

centro david bowie

Nel &rsquo;75 si trasferisce a Los Angeles e &ldquo;Fame&rdquo;, composta con John Lennon, diventa la sua prima N&deg;1 negli USA. Quando gira in New Mexico il suo primo film, &ldquo;L&rsquo;uomo che cadde sulla Terra&rdquo; di Nic Roeg, porta con s&eacute; la sua biblioteca di 1500 libri e il suo equipaggiamento da pittore. All&rsquo;epoca si strafa di coca, non dorme per giorni, &egrave; affascinato dall&rsquo;occultismo egiziano. Per la tourn&eacute;e di &ldquo;Station to Station&rdquo; si reinventa in The Thin White Duke: ha i capelli corti, zero make up e un outfit convenzionale, in un ritorno &laquo;a un puro teatro brechtiano&raquo; con una scenografia basata su fortissimi fasci di luce bianca.
Diventa inseparabile da Iggy Pop, &egrave; coinvolto in un progetto di film su Egon Schiele che non viene mai realizzato, trionfa a teatro a New York con &ldquo;The Elephant Man&rdquo;, la storia di John Merrick, un uomo esibito a fine &rsquo;800 come curiosit&agrave; da circo. On stage Bowie non utilizza effetti prostetici o trucco speciale, rendendo la deformit&agrave; con le sole contorsioni del corpo. &Egrave; biondo platino e all&rsquo;apice dell&rsquo;allure nel tour globale di &ldquo;Serious Moonlight&rdquo;, come nel ruolo del vampiro compagno di Catherine Deneuve in &ldquo;The Hunger &ndash; Miriam si sveglia a mezzanotte&rdquo; e ancor pi&ugrave; in &ldquo;Merry Christmas Mr. Lawrence&rdquo; di Nagisa Oshima, il regista de &ldquo;L&rsquo;impero dei sensi&rdquo;, co-starring Ryuichi Sakamoto.
Nel &rsquo;92, vestito Mugler, sposa la top model somala Iman. Altro fashion moment, l&rsquo;Union Jack Coat disegnato da McQueen e indossato sulla cover dell&rsquo;album &ldquo;Earthling&rdquo;. Tutti momenti da rivivere al David Bowie Centre, tra strumenti musicali, foto di Kevin Cummins, Brian Duffy e Terry O&rsquo;Neill, cover di album, ritagli di giornali, sketches dei vari stage, suoi dipinti, still di film, il cappotto sempre di McQueen creato per i suoi 50 anni, venti outfit di Freddy Burretti dell&rsquo;era &ldquo;Ziggy Stardust&rdquo;, fino alla documentazione di uno dei suoi ultimi progetti, l&rsquo;irrealizzato musical &ldquo;The Spectator&rdquo;, ambientato nella Londra del &rsquo;700, a Covent Garden.

Il David Bowie Centre apre ufficialmente a Londra al V&A East Storehouse

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